Fontana in prestito? No, rubata

 

Fontana_TazzaPorfido6Napoli restituisca la vasca <<delle paparelle>>. Lo scippo di Francesco I di Borbone, le assurde giustificazioni dell’allora Sindaco di Napoli A. Lauro, il falso interesse del Comune di Salerno.

-Antonio Petrone- 23 agosto 2013 – Pochi miei concittadini conoscono questa faccenda antica, ma nella mia piccola cultura locale cercherò di illustrarla.

Un salernitano doc, magistrato e storico salernitano Matteo Fiore, ne aveva fatto un grande punto d’onore. Per tutta la vita aveva lottato con la penna e con il codice affinché l’atrio della cattedrale potesse riavere l’antica vasca in granito sottratta con autorità ed inganno da Francesco I di Borbone e trasferita nella villa comunale di Napoli.

Da allora l’antica vasca viene appellata <<fontana delle paparelle>>, perché – più che servire a cantare, con gli zampilli copiosi dell’acqua, la gloria del Signore nel luogo cui era stata deputata – era stata ben presto devoluta ad ospitare, per la gioia dei fanciulli, bianchi palmipedi ignari di quanta e quale storia quella vasca era stata negli anni e nei secoli portatrice.

Come la questione del furto si svolse lo raccontano gli scritti di Matteo Fiore. Nel 1808 Re Ferdinando I era venuto, in visita alla città ed aveva reso omaggio al Santo Patrono ed all’arcivescovo. Era così rimasto incantato dalla vasca da  incominciare  a cullare  il sogno di portarla nella sua Napoli, ma la morte lo raggiunse presto ed il suo disegno fu ereditato ed attuato in poco tempo da suo figlio, il futuro Francesco I di Borbone.

Il 25 settembre del 1825 la vasca fu rimossa e, nonostante avesse ricevuto qualche danno nelle operazioni di svellimento dalla pavimentazione dell’atrio, fu trasferita a Napoli affinché << fosse da ornamento alla villa che stava sorgendo lungo il mare e verso la collina di Posillipo>>.

Ad uno scultore napoletano fu affidato il compito di adornarla perché fosse più rispondente alle esigenze di esteriorità cui il sovrano teneva in modo particolare ed un espediente artistico servì a trasformarla in ciò che oggi noi possiamo ammirare a Napoli. La “tazza” fu installata in una vasca più ampia ed ornata di quattro leoni di marmo che versano acqua dalle loro bocche fingendo di sorreggere il monolite sottratto alla nostra città.

Questa finzione artistica fu necessaria perché la fontana era stata proporzionata alle dimensioni dell’atrio del duomo, dove per secoli aveva adempiuto alla doppia funzione di ornamento e di vasca per le abluzioni sacre, e sarebbe andata dispersa nella grandezza della villa a cui il Re di Napoli Francesco I di Borbone aveva voluto destinarla.

La fontana giunge a noi come prima immagine in una vecchia stampa del 700, ma doveva essere coeva alla costruzione della cattedrale ad opera di Roberto il Guiscardo, che si attenne ai disegni dell’Arcivescovo Alfano I e ne fece dono al Pontefice Gregorio VII in esilio a Salerno.

La fonte era senza ombra di dubbio un “pezzo trasferito nel tempio da un’altra parte della città alla quale era pervenuta da Paestum. Vari studi e ragionevoli ipotesi fanno ritenere che fosse stata adibita a servizio del Foro nell’antica cinta delle mura urbane. Ma a detta di molti storici, nessun dubbio è stato avanzato circa la sua presenza nell’atrio del duomo fin dalla sua consacrazione.

In pergamene medievali se ne fa menzione, la stampa settecentesca la riporta così come è descritta nei documenti,  che raccontano della sua rimozione. Un vero furto gridò la città, e contro di esso si elevò alta e adirata, ma purtroppo inutile la voce dell’Arcivescovo del tempo monsignor Fortunato Pinto.

Dopo quegli anni si hanno sporadiche notizie di una sua rivendicazione. Proprio nel nostro secolo il discorso è stato ripreso, ma con scarsissima fortuna. Risulta che presso l’archivio comunale esiste un lungo carteggio tra i sindaci delle due città che si sono succeduti nel tempo fino all’ultimo con una risposta negativa dell’allora Sindaco di Napoli Achille Lauro, che vale a sintetizzare da sola le ragioni degli insuccessi salernitani nella nota querelle. Altrettanto va detto per quello che si conserva nell’archivio diocesano: lettere accorate, riferimenti storici puntuali, tutto disatteso messo nel dimenticatoio.

A rileggere l’ultima lettera di Achille Lauro c’è da far cadere le braccia: per giustificare l’abuso sovrano il comandante-sindaco si rifà ad un’altra spoliazione, quella operata da un altro Re di Napoli, a Parma, sulla collezione Farnese. E’ un ornamento del Museo Nazionale e nessuno ha mai pensato di pretenderla, scrisse, più o meno, Lauro dimenticando di aggiungere un piccolo particolare che, al contrario, i salernitani e le loro istituzioni, civili e religiose, quella vasca di granito l’hanno sempre considerata come “prestata” alla villa Partenopea.

Fin qui ho citato il resoconto degli avvenimenti storici della fontana, ma entrando più nel merito di una realtà più vicina al nostro tempo voglio ricordare che già l’amico Giovanni Visconti presidente del “Centro Studi G. Cuomo” nonché figlio spirituale di Padre Alfonso De Simone (sacerdote molto pio e vicino alle esigenze dei più diseredati) aveva più volte sollevato la questione della restituzione della fonte presso le autorità locali senza avere risposta. Da un pò di tempo però la questione è stata riportata alla ribalta dalla protesta civile del concittadino Ing. Luigi Santorelli, che con missive alle autorità napoletane e inviti all’amministrazione comunale Salernitana nella persona del Sindaco, si facesse carico di redimere l’antico sgarbo, vuoi per quel senso d’amore verso la città e anche per l’intrinseco valore storico artistico che ha rivestito l’antica fonte.

A tal proposito ecco cosa dichiara Ing. Santorelli in un ispezione da turista alla villa reale di Napoli dove la fontana fu collocata in quel lontano 1826: Il sottoscritto, si è portato al Museo Plart, situato nell’intorno della metropolitana di Piazza Amedeo e dei giardini comunali, dove dimenticata giace la fontana di granito verde egizio sottratta, ai salernitani, dal quadriportico del duomo nel lontanissimo 1826 per volontà dei Borbone. Mi sono portato ad ammirare quanto di storia, cultura e fede salernitana ci è stato sottratto. L’amarezza, lo sconforto e la tristezza sono sopraggiunte subito, nel costatare il totale grado di abbandono e conservazione in cui versa la vasca di granito verde, che eccessivamente ventilata ha assunto una patina di colore bianco latte, a causa del materiale tufaceo degradato e dell’azione degli agenti atmosferici. Se fosse ricollocata nel quadriportico del duomo di Salerno non correrebbe alcun rischio. Anche i quattro leoni, su cui poggia il monolite, per lo stesso effetto localizzato a chiazze, sui dorsi degli stessi danno l’aspetto di uno “spelacchiamento” rendendo tutto l’insieme alquanto sgradevole. Per fortuna anche senza l’alimentazione dell’acqua, ho potuto riscontrare la presenza delle  paparelle. A voi l’apprezzamento prima e dopo le vicende di cui sopra. Segno dei nostri tempi, dove il rispetto per la storia ed i valori se non richiesto non è più dovuto”.

Ora si sa che un regio Decreto approvato da una monarchia “Borbonica” in un momento storico preunitario non può essere cancellata perché tale Monarchia è decaduta, è pur vero che nell’ambito dello spirito nazionale e Repubblicano di oggi questa controversia può e deve essere risolta. D’altronde esempi recenti ce ne sono tanti: non è forse vero che il British Museum ha restituito l’intero frontone del Partenone di Atene portato via tempo fa? Non è altrettanto vero che l’odierna Germania vorrebbe restituire alla odierna Russia alcuni beni trafugati durante il secondo conflitto a titolo di amicizia tra i due stati? Non vedo quindi il perché questa vicenda locale non possa risolversi allo stesso modo. Soprattutto mi chiedo perché l’attuale amministrazione comunale Salernitana non si è mai fatta carico di questo problema. Se si definisce questa città una città Europea e turistica allora ci si deve ricordare, che il turismo non è fatto solo di piazze (cadenti a mare). La cultura e il turismo sono altra cosa e ne fanno parte gli aspetti storici e artistici della città stessa.

 



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