La leggenda di Hiram, ebraismo e massoneria

 

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La leggenda di Hiram.

Angelo Iervolino – 08 Aprile 2014 – Hiram, Maestro di Perfezione, emblema dell’ideale iniziatico liberomuratorio, incarna le caratteristiche dei tre pilastri di sostegno per il Tempio: Forza, Bellezza e Sapienza.

Introduzione alla mitologia massonica

La figura di Hiram sta all’origine stessa della Massoneria, naturalmente parliamo di mito e leggenda, non di una vera e propria ricostruzione storica: la mitologia massonica è essenzialmente “simbolo”. Ma che cos’è un simbolo? La parola “simbolo” deriva dal latino symbolum ed a sua volta dal greco sýmbolon dalle radici sym-, “insieme” e bolé, “un lancio”, o più semplicemente mettere insieme, accordare, patto etc. Dall’etimologia si evince come i simboli possiedano un forte valore evocativo, da cui deriva un carattere intersoggettivo, sono cioè condivisi da un gruppo sociale. Per questo motivo, lanciarsi in affannosi quanto contorti ragionamenti per giungere all’interpretazione del simbolo, farà perdere allo stesso la caratteristica più preziosa, ovvero la semplicità; con essa va in qualche modo persa la funzione prima del simbolo, quell’universalità scaturente dalla sua necessaria univocità di sensazione. In tale ottica è essenziale un’interpretazione basata prettamente sulla logica di base, scevra da ogni subdolo valore, ossia da valenze così ben nascoste da generare solamente confusione: il simbolo nasce dall’esigenza di semplificare ciò che è complesso, rendere esprimibile ciò che non lo è, come le sensazioni che riesce a suscitare; sta poi al lettore trovare sapienza e capacità per formare concetti man mano più complessi attraverso un sapiente uso sincretistico di più simboli in modo da ottenere allegorie complesse. Come ad esempio il mito di Hiram

La Leggenda di Hiram Abiff (1)
Rielaborazione (2) di Gianmichele Galassi

La Bibbia ci presenta Hiram Abiff come il massimo artista del suo tempo. Famoso nella propria città natale, Tiro, per la magnificenza delle sue opere, onorato ed ammirato dal sovrano per le straordinarie capacità dimostrate nelle arti, fu da questi inviato al potente Re Salomone per la costruzione del grande Tempio, la Casa del Signore. Nessuno meglio di Hiram sapeva lavorare i metalli, egli padroneggiava i segreti dell’Arte, fine intagliatore di pietre e legno aveva accumulato grande esperienza nel governare operai e maestranze.
Vennero arruolati per l’occasione centinaia di geometri e capomastri: il cantiere assomigliava ad un grande formicaio tanti erano gli operai chiamati al lavoro. A centinaia di migliaia, venuti da ogni Paese, formarono un formidabile esercito di lavoratori, in cui si fondevano innumerevoli etnie, costumi, idiomi e religiosi, convivendo pacificamente per portare a compimento la grande opera.
Su tutti vigilava attento lo sguardo del Maestro Hiram che, guidato dalla sapienza, pensò di organizzare l’immenso cantiere dividendo gli operai in tre categorie in base alle proprie competenze e capacità.
Fu così che, prima dell’inizio dei lavori, radunò tutti: pose gli Apprendisti a destra, dette loro la propria divisa, un grembiule bianco, il segno ed una parola per farsi riconoscere come tali; poi individuò i Compagni, dette anche a loro divisa, grembiule e parola, sistemandoli sulla destra.
Infine anche i Maestri ricevettero le proprie istruzioni.
Avvertì tutti che nessuno avrebbe mai dovuto rivelare la parola d’ordine, pena l’immediato licenziamento.
In tal modo i sorveglianti erano in grado di dare il giusto salario giornaliero a tutti gli operai secondo la propria competenza: era sufficiente che ciascuno comunicasse la parola ed il segno per ottenere il pattuito.
Così i lavori avanzarono rapidamente ed il Grande Tempio prendeva forma, lasciando intravedere la maestosità che avrebbe assunto ad opera compiuta. Salomone era entusiasta del cantiere governato da Hiram e non perdeva occasione per tesserne le lodi.
All’apparenza tutto correva nel migliore dei modi, soddisfazione ed entusiasmo erano respirabili in ogni angolo del cantiere: gli apprendisti sgrossavano le pietre che poi passavano sotto la cura dei compagni che, con pazienza e dovizia, le levigavano affinché combaciassero perfettamente l’una con l’altra.
Infine i Maestri assistevano alla posa, misurando attentamente ogni blocco in modo che corrispondesse al progetto.
Tanto successo ed operatività del maestro Hiram destarono però l’invidia di tre operai, interessati più al guadagno che all’atmosfera di armonia che si percepiva nel grande cantiere. Pur privi del talento e dei meriti necessari, i tre compagni aspiravano al salario dei Maestri e fu così che ordirono un funesto, quanto infame, piano. A mezzanotte Hiram aveva il costume di ritrovarsi all’interno del Tempio, mentre tutti gli altri riposavano; in tal modo controllava lo stato di avanzamento dei lavori, soffermandosi poi a meditare nello spazio sacro. Una sera i tre compagni misero in atto la loro congiura; ognuno si appostò, armato di un arnese da lavoro, ad una delle tre porte. Quando Hiram giunse presso la porta occidentale trovò ad aspettarlo, minaccioso, il primo dei tre: “Ditemi la parola di Maestro“ disse costui minaccioso.
“Tu sai bene che io non posso rivelartela” rispose il Maestro.
Allora l’altro, senza incertezze, gli sferrò un colpo alla gola.
Seppur stordito, il Maestro riuscì a sfuggirgli dirigendosi immediatamente verso la porta a Meridione; ma lì trovò ad attenderlo il secondo Compagno.
Con tono arrogante tornò a chiedere al Maestro quale fosse la “Parola”…
“Insensato! – gridò Hiram – Non è così che l’ho ricevuta io! E non è questo il modo di chiederla!”
L’altro, seccato, con rabbia vibrò un colpo diretto al cuore di Hiram.
Questi, quasi esanime e gravemente ferito, si trascinò verso l’ultima porta, quella posta ad Oriente, in cerca di scampo…ma anche là trovò appostato l’ultimo dei tre che, sbarrandogli la via, pretendeva che gli fosse rivelata la Parola.
Hiram non si lasciò intimorire neppure dalla minaccia dell’ultimo: sapeva di non poter fuggire e che quest’ultimo colpo gli sarebbe stato fatale, ma decise comunque di impartire l’ultima lezione: “Lavora, persevera, impara. Solo così sarai ritenuto degno ed avrai diritto alla ricompensa di maestro!”
L’altro allora, accecato dall’invidia e incredulo della rettitudine del Maestro, lo colpì direttamente alla fronte, e lo uccise!
Ecco come è morto il Maestro dei Maestri, portando con sé i segreti dell’Arte. I tre assassini infami portarono il corpo in un luogo solitario del Libano e là gli dettero sommaria sepoltura, piantando sulla tomba un ramo d’acacia, e poi tornarono al cantiere.
Intanto a Gerusalemme, dalla preoccupazione iniziale per l’assenza del Maestro, si arrivò ben presto alla disperazione ed allo sgomento quando vennero notate alcune tracce di sangue all’interno del Tempio.
Hiram è morto! – si continuava a ripetere – Chi potrà sovrintendere ai lavori per la costruzione del Grande Tempio, adesso che il Maestro è scomparso per sempre?”… “I segreti dell’Arte sono perduti per sempre! Le tenebre scendono e regnano ogni dove. Cosa possiamo fare per riportare la Luce della saggezza su di noi?”
Allora intervenne Salomone: “Facciamoci coraggio, non tutto è perduto, e cerchiamo i resti mortali del Maestro, la sua sapienza non può essere scomparsa con Lui… Essa è eterna!”. Fu così che il saggio Re mandò a chiamare nove maestri, inviandoli alla ricerca del corpo a gruppi di tre: “Viaggiate maestri! Viaggiate da oriente ad occidente, da settentrione a mezzodì, finché non abbiate trovato Hiram”.
Fu così che dopo lungo vagare, attraversando il deserto del Libano, un maestro scorse in una piccola radura un ramo d’acacia, appoggiandovisi notò che era stato piantato di recente e la terra intorno pareva mossa da poco… sospettò allora che fosse proprio la sepoltura del grande architetto del Tempio, prestamente fece avvertire Salomone. Alla notizia il Re ordinò che gli altri maestri, tornati nel frattempo, andassero a verificare e, nel caso, recuperare i resti del Maestro.
In breve tempo i nove maestri inviati alla ricerca tornarono con il corpo di Hiram che ricevette le esequie riservate solamente ai sovrani.
Naturalmente, la mitologia liberomuratoria non si esaurisce con la morte del Maestro Hiram: negli alti gradi la leggenda sulla costruzione del Tempio di Salomone continua a lungo, si giunge invero addirittura alla cattività di Babilonia ed alla costruzione del “secondo” Tempio… ma questa è un’altra storia.

Cenni sulla valenza simbolica del mito

È ben evidente come la leggenda di Hiram contenga ed anticipi il sincretistico complesso simbolico della Libera Muratoria:

  1. Gli attrezzi muratori con cui i tre congiurati colpirono Hiram sono quelli alla base del lavoro di loggia e simboleggiano rispettivamente la retta e misurata azione, l’equilibrio e la volizione.
  2. Le parti del corpo ove Hiram fu colpito simboleggiano i tre piani (materiale, animico e spirituale) e sono così rappresentati nei riti di iniziazione:
    la gola, simbolo della vita materiale;
    il cuore, sede dell’anima;
    la fronte, sede dell’intelligenza.
  3. I tre atti violenti compiuti dai Compagni traditori a loro volta riproducono:
    la menzogna;
    l’ignoranza;
    l’ambizione.
    Questo mito serve a riassumere il lavoro che ciascuno deve compiere al proprio interno per essere, giorno dopo giorno, un uomo migliore; è evidente poi come i vizi siano il terreno fertile per le più basse azioni che un essere umano possa compiere: invidia ed ambizione stanno alla base del tradimento, mentre menzogna ed ignoranza sono le fonti dell’infamia. Il primo passo è quindi quello di scavare oscure prigioni ai nostri vizi, sostituendoli con i più alti valori umani: sincerità verso sé stessi ed il prossimo, benevolenza e tolleranza verso l’altrui idea; raggiunto tale grado di Luce ne derivano grandi pregi attribuibili all’Uomo, ovvero fratellanza, giustizia e libertà di pensiero. Dobbiamo ora aggiungere che il pregiudizio è il secondo muro da abbattere, ci rende ciechi di fronte alla realtà, come un fitto velo che avvolge i nostri sensi e moltiplica l’incapacità di vedere oltre l’apparenza. In qualche modo –molti grandi uomini lo hanno notato prima – a causa del pregiudizio la forma delle cose ci appare sbiadita mentre la sostanza resta completamente ignota; in tale stato è impossibile scorgere la via d’uscita, la scintilla divina che alberga in ciascuno di noi e che può farci respirare l’emanazione dell’essere Supremo, qualunque sia… Dio, Allah etc.
    Impegno, perseveranza e volitiva applicazione debbono essere la base per sconfiggere prima i vizi e poi i pregiudizi cosicché, liberi da ogni vincolo, non dovremmo più essere come moderni Sisifo (3) che dopo lunghi sforzi si ritrovano sempre al punto di partenza.
    Hiram di Tiro, la cui capacità nel lavoro, l’autorevolezza nelle relazioni e l’eterna sapienza nel pensare verranno ricordati da coloro che avranno la volontà di migliorarsi, sarà l’esempio imperituro di cosa significhi essere Uomini, Iniziati ed anche Massoni.

Note:
1) Al nome Hiram viene spesso aggiunta l’espressione Abiff o Abif, che deriva dall’ebraico Ab “padre”, quindi “suo padre”, comunque molti autori sono propensi ad assegnare nel caso specifico il significato di “maestro, capo ecc.”, utilizzato quale segno di rispetto.
2) Rielaborata e riassunta dal contenuto del volume Hiram e la leggenda di Hiram di Luigi Sessa edito da Bastogi Ed.
3) Sisifo fu condannato per l’eternità da Zeus a causa della sua sagacia a trasportare dalla base alla cima di un monte un macigno che, ogni volta, una potente forza faceva rotolare di nuovo giù alla base, come riporta Omero nell’XI libro dell’Odissea (vers.593-598):
«Sísifo pure vidi che pene atroci soffriva/ una rupe gigante reggendo con entrambe le braccia./ Ma quando già stava per superare la cima, allora lo travolgeva una forza violenta/ di nuovo al piano rotolando cadeva la rupe maligna.»

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Le fonti

La Leggenda di Hiram cominciò a diffondersi non prima del 1723 fra le Logge, che rivendicavano una discendenza diretta dai costruttori del Tempio di Salomone. Molte sono le versioni redatte che, pur presentando differenze formali, sono sostanzialmente equivalenti nella sostanza e nel simbolismo.
La prima fonte certa: nel 1725, in un libello antimassonico, si parla “d’un albero che sarebbe spuntato dalla tomba di Hiram“.
Quale figura centrale della tradizione liberomuratoria quella di Hiram merita un approfondimento particolare. Innanzitutto è importante concentrarci sulle fonti che sono di variegata origine: dalle bibliche sino alle massoniche del ‘700 passando per la letteratura giudaico-cristiana.
Partendo dalle fonti più antiche possiamo fare riferimento alla Bibbia. Di Hiram “il maestro”, da non confondere con il Re di Tiro, si parla nel I° Libro dei Re (7-13), che risale presumibilmente al periodo tra il 621 e il 586 a.C., a proposito degli arredi del Tempio, e poi ancora nel II° Libro delle Cronache, che risulta però essere compilato due secoli più tardi – in quanto è descritta cronologicamente la successione davidica – quindi meno attendibile a priori.

Il I° Libro dei Re Cap.7:
“13 Il re Salomone fece venire da Tiroun certo Hiram, 14 figlio di una vedova della tribù di neftali; ma di padre tirio, artefice in lavori di bronzo, di grande capacità tecnica e pieno di talento, esperto in ogni genere di lavoro in bronzo. Egli venne presso Salomone ed eseguì tutti i suoi lavori. 15 fuse due colonne di bronzo, ognuna alta diciotto cubiti e dodici di circonferenza… -continua- 21 Salomone fece poi innalzare le due colonne davanti al vestibolo del Tempio: eresse la colonna di destra e le dette il nome di «Iachin»;
elevò quindi quella di sinistra e la chiamò «Boaz». (cioè stabilità e forza)”

Più avanti: “40 Hiram preparò infine le caldaie, le pale e dei bacini. Così egli terminò tutti i lavori che Salomone gli aveva ordinato per il Tempio del Signore: 41 cioè, le due colonne, le loro due modanature sferiche in cui vennero inseriti i due capitelli posti sulla sommità delle colonne, le due reti d’intreccio per coprire le modanature dei due capitelli, che erano sopra le colonne; 42 le quattrocento melagrane per le due reti d’intreccio, due ordini di melagrane per ciascuna rete; 43 i dieci carrelli, i dieci bacini sui carrelli portanti; 44 il mare unico di bronzo ed i dodici buoi che lo sostenevano; 45 le caldaie, le pale e i bacini. Tutti questi oggetti, che Hiram preparò al re Salomone per il Tempio del Signore, erano di bronzo lucente.”

Ed il II° Libro delle Cronache, Cooperazione di Hiram (Re di Tiro), Cap.2:
“12 Ti mando dunque un uomo esperto e di grandissima abilità, Hiram-abi, 13 figlio di una donna Danita, e suo padre è di Tiro: egli sa lavorare in oro, in argento, in rame, in ferro, in pietre, in legno, come pure in filati violetti, in porpora, in bisso e in cremisi; sa eseguire ogni sorta di intagli e tradurre in realtà qualsiasi progetto artistico che gli venga affidato. Lavorerà con i tuoi operai e con quelli del mio signore Davide, tuo padre.”

Questo secondo scritto trova alcune differenze con il racconto riportato nell’antecedente Libro dei Re, come per il nome di Hiram che in questo delle Cronache viene detto Huram e solo per uniformità abbiamo continuato a scrivere Hiram. Le incongruenze esistono in quanto – come detto – il Libro delle Cronache non è antecedente al 400 a.C., le genealogie davidiche infatti giungono alla fine del V sec. Differenze, in parte spiegabili come errori di trascrizione quali l’altezza delle colonne o il nome di Hiram, altre, come nella maternità dello stesso, imputabili a differenti notizie che però non sono incompatibili e di conseguenza non riconducibili ad errori veri e propri: la madre poteva essere danita e suo padre della tribù di neftali e residente a Tiro.
Seppur in nessun modo Hiram venga menzionato quale architetto del Tempio, possiamo affermare che gli viene conferita addirittura una valenza maggiore, in quanto è descritto come “maestro” nella lavorazione dei metalli: è lui l’autore della meraviglia del “Mare di bronzo” e delle due colonne Jakin e Boaz… a questo proposito, è bene ricordare che, al tempo, l’arte metallurgica era appannaggio di pochissimi e coloro che sapevano dominare e manipolare i metalli occupavano uno dei posti più alti nella scala del ceto sociale: la potenza di uno stato si misurava attraverso la capacità di sfruttare i metalli per armi, decori, arte e costruzioni.
Adesso, passando alle fonti più recenti, vediamo come vari manoscritti, risalenti al periodo medievale-rinascimentale e di chiara origine massonico-esoterica, riportino varie versioni di quella che si definisce la leggenda di Hiram.
Prima di tutto è bene fare riferimento alle “Costituzioni Gotiche”: la più antica raccolta di documenti massonici, databili dal 1150 ad oltre il 1550, così chiamati per la prima volta nel 1738 da James Anderson. Secondo A.L. Vibert, uno dei maggiori studiosi fra coloro che tentarono una classificazione di questi manoscritti, afferma che la “Storia Tradizionale” degli antichi massoni è giunta a noi in varie forme: “La prima versione era molto breve ed è conosciuta da noi per mezzo di due testi, il Ms.Regius e la parte conclusiva del Ms. conosciuto come il Cooke Text. La prima parte di questo stesso testo consiste in una Storia molto elaborata, la quale molto probabilmente fu compilata nel quindicesimo secolo, e poi fu riscritta al principio del sedicesimo, mentre le Ordinanze, le clausole separate delle quali erano conosciute come articoli e Punti, furono rifuse come un Codice dei Doveri Generali e Speciali e che si assunse essere stati approvati da Enrico VI e dal suo Consiglio, nel 1437.
Dal sedicesimo secolo in poi, la grande maggioranza dei Manoscritti comprende una trascrizione della History quale allora venne riscritta, ed il Codice di Enrico VI, ma essi hanno tutti variazioni testuali loro proprie… Le versioni cadono in cinque principali gruppi o famiglie, note come Plot, Grand Lodge, Sloane Roberts e Spencer. Il gruppo Plot ha la History elaborata e quelli Grand Lodge, Sloane e Roberts hanno la History quale fu riscritta, ma tutti e quattro hanno il Codice di Enrico VI, al quale il Roberts ha aggiunto quanto viene indicato come New Articles e certi testi hanno anche speciali Apprentice Charges. Gli Spencer sono l’ultimo gruppo ed in questo la History è stata ancora una volta revisionata. È a questi documenti che Anderson si riferisce nella sua Intestazione, quando dice che la parte storica è «presa dai loro documenti generali» e i suoi Charges «estratti da antichi documenti.». (Cfr. a.L.Vibert, Anderson’s Constitutions, Introduzione alle Costituzioni di Anderson del 1723, facsimile 2ª edizione a cura della Q.C.L., London, 1978, p. xi.)

Con ciò abbiamo compreso l’origine degli “Antichi Doveri” del 1723, ancora oggi alla base dell’Istituzione massonica. Passando poi alle fonti più recenti, già il Reghini (in PAROLE SACRE E DI PASSO, ed. atanor, Roma 1962), afferma che un breve cenno alla morte di Hiram (si parla della morte dell’architetto del Tempio, senza nominarlo) si trova nel Talmud, e che nel MANOSCRITTO COOKE (1430÷40) si menziona la morte di Hiram.
Per Bonvicini, il c.d. Ms. Cooke (1430÷40), a proposito di Hiram (senza nominarlo), dice: “Il figlio di Tiro era il capo” degli 80.000 operai muratori al “servizio” di Re Salomone per la costruzione del Tempio, iniziata da Re David; mentre il Sessa a proposito di tale manoscritto, facendolo risalire al 1410, riporta “e il figlio del Re di Tiro era il suo Maestro Massone”. Questa citazione sembra più affidabile in quanto molti altri manoscritti dell’epoca – denominati racconti o M Mss. gotici – riportano l’errata traduzione di Abif, ed in luogo dell’Hiram biblico venivano utilizzati nomi sostitutivi quali Aymon (Ms. Dowland 1500c.) o Amnon etc., a tal proposito si può fare riferimento allo studio del Tuckett. La sostituzione è frequente in scritti latomistici e in tal senso viene spontaneo chiedersi se, sussistendo intenzionalità, tale pratica non debba significare qualcosa di profondo e nascosto.
Personalmente, ricordando il Tuckett, mi sembra più ragionevole pensare che la perdita del doppio nome “Hiram abif” sia imputabile all’eliminazione delle bibbie protestanti inglesi durante il regno di Enrico VIII.
Infine, giova ricordare anche Maurizio Nicosia che, nell’articolo “La piramide del rito e la leggenda di Hiram”, afferma che essa non ha origini bibliche, ma è ricavata da un apocrifo dell’antico Testamento.
È comunque una leggenda che troviamo in molte tradizioni iniziatiche e religiose sin dai tempi degli antichi egizi: il mito di neferotep (nefer= perfezione e bellezza, otep= pienezza) maestro architetto ucciso dai suoi adepti per denaro. Al di là delle fonti, è certamente curiosa l’assonanza con la vicenda di Osiride, tramandataci da Diodoro Siculo (cfr. f. Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, (1906), Roma, 1990, p. 79. Oltre Diodoro l’altra fondamentale fonte sui misteri osiriaci è Apuleio, Le metamorfosi o l’asino d’oro.):
“…il dio (Osiride) all’uscita del tempio cadeva sotto i colpi di Set (fratello di Osiride); si simulavano attorno al suo corpo le lamentazioni funebri, lo si seppelliva secondo i riti: poi Set era vinto da Orus, e Osiride, a cui la vita era resa, rientrava nel suo tempio dopo aver trionfato sulla morte. Lo stesso mito era rappresentato a Roma. Iside oppressa dal dolore cercava in mezzo ai pianti desolati dei preti e dei fedeli il corpo divino d’Osiride, le cui membra erano state disperse da Tifone (altro nome di Set). Poi ritrovato, ricostituito, rianimato il cadavere si sprigionava una lunga esplosione di gioia”.
Oltre a quest’ultima, una qualche corrispondenza con la vicenda hiramitica può individuarsi – come suggeritomi dal Prof. Luigi Pruneti – nel racconto su Polidoro nell’Eneide virgiliana:

ENEIDE CANTO III – POLIDORO

IN TRACIA: DE POLIDORI UMBRA (3.13-68)
… Tertia sed postquam maiore hastilia nisu adgredior genibusque adversae obluctor harenae, eloquar an sileam? Gemitus lacrimabilis imo auditur tumulo et vox reddita fertur ad auris: ‘quid miserum, Aenea, laceras? iam parce sepulto, parce pias scelerare manus. non me tibi Troia externum tulit aut cruor hic de stipite manat.
Heu fuge crudelis terras, fuge litus avarum: nam Polydorus ego. hic confixum ferrea texit telorum seges et iaculis increvit acutis…

L’ORRIBILE OMBRA DI POLIDORO (3.13- 68)
… Ma dopo che con maggior sforzo afferro il terzo rametto e con le ginocchia lotto con la sabbia avversa, – parlare o tacere? – si sente dalla profondità dell’altura un gemito lacrimevole e la frase data sale alle orecchie: “Perché, Enea, torturi un infelice? orma risparmia un sepolto,
risparmia di macchiare le pie mani. Troia non mi pose estraneo a te o questo sangue non emana da un legno. Ahimè fuggi terre crudeli, fuggi un lido avido: io son Polidoro. Qui trafitto mi coprì una messe ferrea di dardi e crebbe in acute lance…

Concludendo, è bene precisare che la Leggenda di Hiram riportata è solamente una rielaborazione di una delle molte versioni presenti in letteratura.
Infine, è importante ribadire che, per quanto riguarda la Leggenda, non è fondamentale se
veramente sia accaduto ciò che narra, bensì il valore iniziatico e simbolico rappresentati, così come avviene per le “parabole” cattoliche.
Chiarito ciò, è vitale comprendere gli insegnamenti contenuti nella vicenda del “maestro” per
progredire ad un livello superiore di consapevolezza.

Gianmichele Galassi
Da Secreta Magazine n.1 – 2010

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Pubblicato da Angelo Iervolino

Imprenditore, Massaggiatore Tao Csen Sportivo e Olistico, Blogger, Reporter, Fotografo, Scrittore, Telescriventista, Operatore Radio (Radiotelegrafista), Sottocapo della Marina Militare in concedo, Volontario della Croce Rossa. Presidente e Segretario Generale dell'Associazione Umanitaria Internazionale OSD CTM - Ordine Superiore Dei Cavalieri Templari.

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